Villa di Serio Green

Alla scoperta delle bellezze naturali del territorio

Vigneti in collina

Nel passato, il vino ha fornito un contributo essenziale alla povera alimentazione popolare, ragione per cui i contadini mettevano a dimora piccoli vigneti un po’ ovunque, persino in pianura dove i terreni mal si prestavano alla coltivazione della vite.

Anche a Villa di Serio, i declivi collinari, oltre che per il pascolo, i castagni e gli alberi da frutto, sono stati sfruttati da sempre per questo tipo di coltura.

A lungo strumenti e tecniche di vinificazione rimasero arretrati, in paese come nel resto della provincia, tanto che la giuria dell’Esposizione industriale tenutasi nel capoluogo nel 1870 non assegnò alcun primo premio ai produttori locali.

Solo nel corso del Novecento si cominciò a introdurre strumenti e tecniche più avanzati, grazie dapprima alla scuola agraria di Grumello da dove il nuovo sapere si diffuse nell’intera terra bergamasca e quindi, nel secondo Novecento a Carlo Zadra, un enologo proveniente dal Trentino.

Testo: Gianluigi Della Valentina
Immagini: Archivio comunale

Come le piante si spostano

Il seme, si dice, non cade lontano dall’albero; e per alcune piante è vero. Una mela, una volta matura, si stacca e cade: è quella che si chiama disseminazione barocora, ovvero la dispersione dei semi effettuata unicamente attraverso la forza di gravità.

Non è detto, però, che i frutti rimangano fermi: possono essere ingeriti da mammiferi o uccelli che, successivamente, potranno “depositare” i semi anche molto lontano dalla pianta madre.
Si parla in tal caso di disseminazione zoocora, o mediata da animali. Un’altra forma di questo tipo di disseminazione è sfruttata da alcune piante i cui frutti si “attaccano” al pelo degli animali (o ai vestiti!) tramite dei piccoli uncini: sarà sicuramente capitato anche a voi, passeggiando nel bosco, di contribuire alla diffusione del Caglio (genere Galium).

Non dimentichiamo poi la disseminazione anemocora (tramite il vento: pensiamo all’acero o al tarassaco), idrocora (mediata dall’acqua, come per Sedum acre i cui semi vengono dispersi dalla pioggia), o persino bolocora, il caso in cui la pianta “lancia” i propri semi ad una certa distanza senza l’ausilio di agenti esterni.
Questo avviene attraverso delle tensioni o un aumento della pressione idrostatica nei tessuti del frutto; un esempio di questa strategia è il comune geranio, di cui esistono diverse specie spontanee (come Geranium robertianum, comune in ambiente boschivo).

Insomma, è vero che le piante hanno radici profonde, ma tramite la dispersione dei semi possono “spostarsi” e, nel corso delle generazioni, colonizzare nuovi territori.

Foto: Alessandro Longhi, Gianfranco Teanini
Testo: Luigi Pezzotta

Buone notizie

Sui tronchi degli alberi di parchi e viali è facile osservare, oltre a muschi e alghe, macchie di colore giallo, verde o grigio che possono far pensare a pericolosi attacchi parassitari. Non è così.

Si tratta di licheni, organismi pionieri, innocui per gli alberi, frutto di simbiosi tra un’alga e un fungo, che da decenni vengono utilizzati per valutare la qualità dell’aria.
La loro presenza dipende infatti dalla concentrazione degli inquinanti e dalla loro sensibilità, che cresce passando dai licheni a crosta a quelli fogliosi e a quelli frondosi.

Dove l’inquinamento è elevato sopravvivono solo i crostosi, mentre dov’è minimo o nullo prosperano tutte le forme.
La significativa diffusione di licheni, soprattutto fogliosi, osservata negli ultimi due decenni sugli alberi dell’abitato del nostro paese, testimonia quindi un notevole miglioramento dell’aria che respiriamo.

Testo: Eugenio Marchesi

Quante ghiande!

A chi frequenta i sentieri collinari non sarà sfuggita la grande quantità di ghiande ai piedi delle querce. Infatti per le querce quello appena trascorso è un anno di pasciona (dal latino pascere che significa pasturare), cioè un anno di produzione abbondante.

Le querce, come altri alberi selvatici, alternano anni di abbondanza ad anni di magra allo scopo di assicurare la sopravvivenza della specie.

Con questo meccanismo di autoregolazione infatti controllano il numero di individui delle popolazioni di animali che si nutrono dei loro frutti e dei loro germogli e, contemporaneamente, utilizzano gli animali frugivori come vettori per diffondere i loro semi. Inoltre, così facendo, contribuiscono al mantenimento dell’equilibrio ecologico dell’ecosistema.

Testo: Eugenio Marchesi

Foto: Marco Rondi e Eugenio Marchesi

Conosciamo bene gli alberi ed i modi in cui superano l’inverno, mentre minore attenzione viene spesso posta alle piante erbacee. Eppure, siamo ben coscienti che durante l’inverno i prati rimangono verdi e, sotto la neve, molte piante attendono di fare capolino.

Strategie per restare

Nel nostro territorio la strategia più comune è quella delle emicriptofite: piante perenni che mantengono durante la stagione avversa le gemme a livello del terreno, protette da alcune foglie basali. Queste ultime, affiancate, possono formare un esteso tappeto erboso.

Un esempio facilmente osservabile è il tarassaco (Taraxacum sp., nelle foto visibile in veste invernale ed estiva).
Le terofite al contrario sono annuali; pertanto muoiono, lasciando che a superare la stagione siano i semi prodotti nel corso dell’anno precedente. Tra queste troviamo ad esempio la veronica maggiore (Veronica persica) e la camomilla comune (Matricaria camomilla).

Altre ancora, le geofite, perdono ogni parte aerea ma, nel sottosuolo, sopravvivono i loro bulbi o rizomi, sui quali riposano gemme in attesa di germinare. Tra queste l’anemome epatica (Hepatica nobilis), molto comune sulla nostra collina, ma anche specie di pregio come le orchidee selvatiche di cui abbiamo parlato la scorsa primavera.

Foto: Eugenio Marchesi
Testo: Luigi Pezzotta

Anno nuovo, vita nuova, si dice.

Eppure siamo abituati a pensare che, per la natura, la “nuova vita” non inizi a Capodanno (nel bel mezzo dell’inverno), ma si debba attendere la primavera. In effetti, per molte piante l’inverno è una stagione avversa, ma è così per tutte?

Fioriture…invernali

Passeggiando nei boschi in inverno possiamo assistere alla fioritura dell’elleboro nero (Helleborus niger) che si è guadagnato per questa ragione anche il nome comune di “rosa di Natale“. Non lo seguono di molto gli altri due ellebori presenti sulla nostra collina: l’elleboro fetido (H. foetidus) e l’elleboro verde (H. viridis).

Ma perché fioriscono in questo periodo in apparenza così avverso?

In effetti siamo abituati, d’inverno, a vedere gli alberi senza foglie, e a pensare che anche le piante, come molti animali, vadano in “letargo”.
Dopo tutto le ore di luce a disposizione diminuiscono rendendo difficile la fotosintesi. Per diverse specie del sottobosco, tuttavia, questa è un’opportunità: la mancanza di una copertura foliare consente ad una maggior quantità di luce di raggiungere il suolo che, dalla primavera in avanti, sarà invece immerso nell’ombra.

Altri esempi di fioriture invernali della nostra collina sono, tra le erbacee, la primula comune (Primula vulgaris) e l’anemone dei boschi (Anemonoides nemorosa), e tra gli arbusti il nocciolo (Corylus avellana) e il corniolo (Cornus mas).

Foto: Eugenio Marchesi
Testo: Luigi Pezzotta

I contenuti vengono condivisi settimanalmente sui canali social e fanno parte di quattro rubriche diverse
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